Le Operette morali, arduo libro di emblemi d'azione umane, resoconto di esplorazioni nel ghiaccio del sublime naturale, ci dicono che l'opera dell'uomo è innanzitutto un movimento all'interno dell'essere, cioè, per Leopardi, della natura stessa. Se la natura persegue ciecamente i suoi fini, l'uomo, che ha cuore e occhi, deve sottrarre all'oscurità e al silenzio il proprio passare e renderlo opera. Chi opera è simile a Copernico, non ai suoi avversari, che vanno "raziocinando a rovescio, e argomentando in dispetto della evidenza delle cose"; chi opera non sogna, ma vede e sente le cose. Al contrario di filosofi e teologi e, nel suo secolo, progressisti e spiritualisti, Leopardi lascia da parte le "cose intorno alle quali si ha pochissimo lume", cioè la metafisica, e fissa lo sguardo sulle cose che appaiono. Erede della "saggezza" di Guicciardini e dell'insofferenza galileiana al principio di autorità, oppone ai "sogni fisici" - i miti cosmologici di Platone, ad esempio - il suo poetico empirismo."