A cura di Emanuele Trevi
Libro «malinconico, sconsolato, disperato»: questa la definizione che lo stesso Leopardi dette delle Operette. Composto, nell’edizione definitiva e postuma curata dal Ranieri, di 24 brani, il libro fu accolto con ammirazione e imbarazzo. Ammirazione perché fu subito riconosciuto come uno dei modelli più alti della prosa italiana; imbarazzo per la profondità, la bellezza, lo scetticismo senza edulcorazioni che vi sono espressi, così in contrasto con la cultura romantica in auge.
Lo sguardo che Leopardi getta sull’uomo nel mondo non ammette consolazioni: l’uomo è solo, con le sue domande che non avranno mai risposte, di fronte all’inesorabilità della morte «ignota», all’indifferenza lunare della Natura.
La grandezza dello scrittore risolve nell’«assenza», nella «distanza» fra lo scritto e chi scrive la tragicità delle sue scoperte, la stempera nella struggente bellezza del suo sorriso ironico, nell’esercizio di uno stile elegantissimo che proprio in virtù dello studio e della riflessione tende sempre più alla «naturalezza». Distanza, ironia, leggerezza: non sono queste alcune delle “virtù” raccomandate da Italo Calvino nelle sue Lezioni americane? Dal Cantico del gallo silvestre al Dialogo della Natura e di un’Anima al Dialogo d’un venditore d’almanacchi e di un passeggere, le Operette morali sono la splendida inaugurazione della letteratura moderna, irrinunciabile capolavoro in prosa di uno dei massimi poeti di tutti i tempi, lezione di onestà, libertà, limpidezza.
Giacomo Leopardi
nacque a Recanati nel 1798. S’immerse con straordinaria precocità negli studi filologici e letterari, compromettendo per sempre la salute. Dal 1822 in poi la sua vita fu una continua fuga – con ritorni più o meno brevi – dal «natio borgo selvaggio»: a Roma nel ’22-23, quindi a Milano, Bologna, Firenze, Pisa, fino all’ultima dimora a Napoli, dove morì nel 1837. Oltre ai Canti, lasciò numerosi scritti, fra cui le Operette morali, lo Zibaldone e i Pensieri, tutti pubblicati dalla Newton Compton nel volume unico Tutte le poesie, tutte le prose e lo Zibaldone, curato da Lucio Felici e Emanuele Trevi.