"Ho cercato di scoprire il mistero dell'Africa". Questo il senso, lo spirito di Passeggiate africane. (Alberto Moravia) Ogni anno, per diciotto anni, siamo andati, Alberto e io, in Africa. Ma cos'è che ci attirava con tanta prepotenza verso l'Africa nera, tanto da spingere i nostri migliori amici a seguirci, a innamorarsi a loro volta di quelle luci, di quei venti? "Mentre corriamo per i viali di Arusha rifletto sul carattere profondo del paesaggio africano" scrive Alberto in uno dei suoi diarii africani del 1984, "io lo trovo religioso, come l'Attica, come la Terra Santa, come il Nepal. Si sente che su queste montagne eccelse hanno abitato e tutt'ora forse abitano le divinità bizzarre e terrificanti nelle quali si esprime il solo sentimento religioso proprio dell'Africa: la paura". Oggi, rileggendo questi diarii, mi sembra di riascoltare ancora una volta la voce aspra di Alberto, mi sembra di coglierne la segreta dolcezza. Sono sicura che anche per chi non ha mai sentito la sua voce, questo diario ha oggi un suono e parla all'orecchio con la seduzione di un canto dalla melodia distesa, in cui i ritmi di una intelligenza leonina si perdono nei deserti della memoria. (Dall'introduzione di Dacia Maraini)