L’ultima lezione che Raymond Aron tenne al Collège de France il 4 aprile 1978 – qui proposta per la prima volta in italiano – lascia trasparire l’inquietudine civica che è stata la molla del pensiero e dell’azione del filosofo francese. La rappresentazione del liberalismo e della democrazia è dominata dall’idea formale di una «procedura», sia essa quella del mercato o della garanzia dei diritti, valida in sé e in grado di produrre i suoi effetti indipendentemente dalle disposizioni degli associati o dei cittadini. L’azione che può e deve essere valutata secondo le virtù cardinali – più o meno coraggiosa, giusta, prudente – non trova praticamente più posto, perché l’unica virtù richiesta è quella di applicare le regole che soddisferanno interessi e garantiranno tutele. In un contesto sociale che sembra aver fatto una scelta senza riserve per la libertà a scapito della verità, Aron interroga la «crisi morale delle democrazie liberali». L’inquietudine che le tormenta e può tradursi nelle condotte più irragionevoli è segno che non possono rassegnarsi all’assenza se non di una verità comune, almeno di un bene comune ampiamente condiviso.