«Se vuoi correre veloce vai da solo, se vuoi andare lontano devi farlo insieme» recita un adagio africano. È a partire da questa suggestione essenziale, eppure così adatta a descrivere l'orizzonte che l'Italia e l'Europa hanno dinanzi a sé, che Enrico Letta torna a raccontarsi dopo oltre un anno di silenzio. Non una memoria dei suoi dieci mesi da presidente del Consiglio, né un espediente per cercare immediate rivincite personali. Ma una riflessione proiettata al futuro, che, anche passando attraverso quell'esperienza, si sofferma su un'idea di comunità molto distante, per contenuti e stile, dall'attuale conformismo. E assai diversa da un modello di politica come quello di House of Cards, fatto di intrighi e spregio della parola, che dal pensiero di Machiavelli sembra mutuare solo l'inno al «fine che giustifica i mezzi» e non i consigli alla ragionevolezza e alla temperanza nell'azione di governo. Per Letta non esiste un solo momento positivo della nostra storia unitaria che non sia stato figlio di un progetto condiviso. E oggi più che mai l'Italia, per sfruttare al meglio le condizioni esterne positive createsi nel 2015, grazie in particolare all'azione svolta dalla Banca centrale europea di Mario Draghi, deve coinvolgere le migliori energie di cui dispone in un grande sforzo collettivo. Per favorire una ripresa attesa ormai da troppo tempo e, soprattutto, per alleviare le ferite ancora aperte della crisi e aggredire il più grave dei mali della società italiana: la mancanza di lavoro, specie per i giovani. Nessuno può riuscire ad affrontare impegni di questa portata da solo, con la logica dell'esclusione, con la ricerca strumentale del nemico, con la delega in bianco. Quel che invece il Paese deve concedersi è la chance di dimostrare al mondo di essere «nazione» e «comunità», la capacità di unire virtù democratica e consenso, il coraggio di dire no alle scorciatoie. Il mondo non è mai stato così interconnesso. Molte sono le incognite e le ragioni di apprensione. Ma altrettante sono le opportunità di arricchimento reciproco e partecipazione. Per coglierle c'è bisogno di tutto il «pensiero pesante» di cui siamo capaci. Perché il sogno dell'Europa unita può realizzarsi solo recuperando l'afflato ideale di quanti, per primi, ne colsero la straordinaria valenza per le generazioni successive. E perché la democrazia italiana può rigenerarsi solo se accetta la sfida della politica competente. Una politica che approfondisce e cerca di capire, ma poi decide assumendosi le proprie responsabilità. Una politica, soprattutto, intesa come tensione etica e dedizione alla cosa pubblica, che vuole incidere sulla realtà, senza mai smarrire, però, la consapevolezza più importante: la differenza che passa tra governare e comandare.