Poesie by Pier Paolo Pasolini

Poesie

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  • Genre Poetry
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Description

Nel 1970 Pier Paolo Pasolini curò personalmente un volume di «poesie vecchie» tratte da Le ceneri di Gramsci (1957), La religione del mio tempo (1961) e Poesia in forma di rosa (1964). Considerava questa scelta come «un atto conclusivo di un periodo letterario per aprirne un altro» e su richiesta di Livio Garzanti ne scrisse l’introduzione, intitolandola Al lettore nuovo. L’antologia – qui riedita integralmente con l’aggiunta di una breve nota – proponeva un volume di poesie a sei anni di distanza dall’ultima raccolta pubblicata. «Sei anni sono pochi: ma se si pensa che il primo di questi volumi che qui sono antologizzati è uscito nel giugno del ’57 (e la poesia Le ceneri di Gramsci, che gli dà il titolo, è del maggio 1954), allora l’intervallo di sei anni diventa l’intervallo di un’intera epoca letteraria e politica (anche se in parte, con le ultime poesie, vissuta nella transizione). Suppongo quindi di rivolgermi a un “lettore nuovo”. E ad esso non so e non voglio dare altro che informazioni». Pasolini premette dunque alle sue poesie un testo in forma diaristica che fornisce notizie, talvolta del tutto inedite, sulla sua vita; ricorda la sua formazione poetica avvenuta sotto il segno di un «marxismo mai ortodosso»; ed esprime l’idea che la lotta di classe – negli anni 1968/70 – sia ancora un fenomeno non risolto: «...vorrei indicare soprattutto al lettore giovane il poema Una polemica in versi e l’ultimo dell’antologia, Vittoria: sarei contento se egli vi trovasse prefigurato lo spirito politico idealistico che oggi lo anima. Quanto al resto, le poesie qui antologizzate dai volumi che comprendono i tredici anni che vanno dal ’51 al ’64, formano un blocco coerente e compatto. Ciò che in esso mi colpisce – come se me ne fossi estraniato, ma non è vero – è un diffuso senso di scoraggiante infelicità: un’infelicità facente parte della lingua stessa, come un suo dato riducibile in quantità e quasi in fisicità. Questo senso (quasi un diritto) di essere infelice, è talmente predominante, che la stessa felicità sensuale (di cui del resto il libro è pieno, ma come con colpa) ne è offuscata; e così l’idealismo civile. Ciò che mi colpisce ancora, rileggendo questi versi, è rendermi conto di quanto fosse ingenua l’espansività con cui li scrivevo: proprio come se scrivessi per chi non potesse volermi che un gran bene. Adesso capisco perché sono stato tanto sospetto e odiato».

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