La «mutazione antropologica», il grande tema delle Lettere luterane, ci appare oggi un nodo su cui è obbligatorio riflettere: trentacinque anni fa era il rovello di un intellettuale lucidissimo e isolato [...]. Ci appare oggi evidente anche un perno centrale del ragionamento di Pasolini: l’impossibilità di «separare i fenomeni». L’impossibilità cioè di analizzare il Palazzo senza tener conto che «un Paese di cinquanta milioni di abitanti sta subendo la più profonda mutazione culturale della sua storia». Da questo rischio Pasolini metteva in guardia con forza, eppure la sua metafora fu assunta allora – e diventò linguaggio comune – proprio prescindendo da quella decisiva consapevolezza. Così avvenne anche più tardi, nella profondissima crisi dei primi anni Novanta. Si diffuse allora l’illusione che bastasse demolire il vecchio, davvero putrido Palazzo per liberare le energie di una virtuosa società civile: si basarono su questo molte euforiche attese di una salvifica Seconda Repubblica. E molti disastri. (Guido Crainz)