Alla radice dei diversi discorsi sulla ‘fine della filosofia’ che, almeno da Nietzsche, caratterizzano il pensiero dell’Occidente sta la ‘sentenza’ hegeliana: la filo-sofia cessi di chiamarsi ‘amante’ e si faccia finalmente puro sapere – Sophia significa Scienza. Amore e Sapere debbono prendere congedo. È questo il destino? O ancora vi è ‘ciò’ che non possiamo esprimere, rappresentare, indicare se non amandolo? Il discorso filosofico porta in sé la traccia di questa tensione: l’essente stesso è questo ‘ciò’, l’essente stesso trascende ogni sua determinazione, e in particolare quell’essente che ha corpo e mente. Oltre l’esercizio delle de-costruzioni e degli oltrepassamenti, oltre gli astratti specialismi, oltre le accademie e le scuole, sarà a questo problema, alla meraviglia e sgomento che suscita, che occorrerà fare ritorno – per tentare di svilupparlo ancora una volta. Da qui, infatti, si dipartono i diversi cammini della filosofia: diversi eppure tutti insistenti sul ‘luogo’ del labirinto che formano con il loro stesso procedere, in una sorta di inimicizia fraterna. Un labirinto il cui centro è origine – dagli imprevedibili, infiniti esiti.