Nel 1947 Indro Montanelli riceve dal “Corriere della Sera” l’incarico di seguire il Giro d’Italia. Gli accordi con il “Corriere” sono precisi, non può scrivere di politica: si trova “in purgatorio” a causa del suo passato, sebbene abbia rotto con il fascismo, sia stato imprigionato e condannato a morte e si sia salvato fuggendo in Svizzera. Eppure, la passione per la politica e la voglia di restare comunque “dentro la storia” trasformano le cronache sportive di Montanelli in uno straordinario osservatorio della vita quotidiana, in cui lo sport e i grandi temi della politica si intrecciano indissolubilmente. Certo, ci sono le vittorie e le sconfitte dei grandi campioni e dei gregari, ci sono le statistiche, ma Montanelli non si limita a questo: racconta l’Italia con il suo sguardo critico e anticonformista, controcorrente. Ecco allora la strategia “degasperiana” di Bartali, il Giro “saragatiano” del 1948 o il gregario anarchico Menon che rompe la rigida tattica di squadra per darsi alla fuga e, almeno per una volta, gusta la libertà ribellandosi. Le cronache del Giro sono anche un diario personale: in esse ritroviamo i ricordi dell’infanzia, l’esperienza in Africa, la guerra e l’opposizione al fascismo, il tutto amalgamato con le riflessioni personali e la passione per lo sport come combattimento leale. Come quando, descrivendo il duello del 1947 sulle Dolomiti tra Coppi e Bartali, tra il nuovo campione che avanza a testa alta e il vecchio che “a testa alta declina”, prende le parti del vecchio perché la sconfitta è più nobile della vittoria.