Aristide Gambía ha 58 anni, un lavoro interessante, tre matrimoni falliti, quattro figli, una vita sessuale intensa. Un giorno riceve una lettera da parte di una donna con cui ha avuto una rapida avventura in gioventú: da quel ricordo sfuocato nasce in entrambi una voglia di raccontare e raccontarsi che è un gioco impudico e molto serio. A ogni appuntamento le loro memorie debordano, inseguendo i dettagli della trepidazione di allora, e il linguaggio si fa sempre piú esplicito, osceno, anche grazie al dialetto. Sono due persone mature, che non provano niente l'una per l'altra, che si appassionano al puro e semplice progetto di restituirsi con le parole l'esperienza erotica di un'intera vita, facendo entrare in corto circuito il tempo in cui quasi tutto doveva ancora accadere e quello in cui quasi tutto ormai è accaduto.
Ma si tratta davvero soltanto di un gioco?
Ogni esperienza erotica di Gambía è una balaustra affacciata sulle fantasie maschili e le pratiche sessuali di un'epoca. E se ci si sporge, quel concentrato di vita smuove i ricordi del lettore stesso, riannoda i fili tra scampoli distanti di vita che si urtano e si integrano, come nella letteratura. Ci accorgiamo leggendo che il sesso contiene ed esalta la nostra relazione con gli altri, con il tempo, con noi stessi. È un laboratorio di esperienza e d'immaginazione, un serbatoio di parole, un'inesauribile fonte di vitalità, un autentico enigma. Un angolo di noi che dice tutto.
Domenico Starnone scrive un libro audace, nel linguaggio ma soprattutto negli obiettivi. Raccontare la vita di un uomo tutta dal versante del piacere, ripercorrendo le tappe di un lento, forse mai terminato apprendistato che attraversa la seconda metà del Novecento. E raccontare così lo stupore, il senso dell'infrazione e dello sconfinamento di fronte al mistero del desiderio, maschile ma anche femminile. Desiderio riottoso, che non si lascia mai davvero disciplinare.
***
«Autobiografia erotica di Aristide Gambía, appare un'autentica sorpresa: all'altezza del meglio (Svevo, Pirandello, Berto) dei nostri ultimi 100 anni di letteratura. Resterà. E non solo per il tono e il timbro originali del romanzo, per la capacità di narrare che ci conquista da subito, per l'ingegno di una costruzione a sorpresa, ma altresì per la scelta di un argomento, quello erotico, che nessun autore colto, in Italia, ha affrontato, nel Novecento e oltre, con tanta esplicitezza, costeggiando, senza mai oltrepassarlo, il limite dell'osceno. Reso arte dalla commistione di ironia, scavo nel profondo di sé, sfrontatezza e, per contro, pudore».
Giovanni Pacchiano, «il Fatto Quotidiano»