Silvio D’Arzo, pseudonimo di Ezio Comparoni, rappresenta una figura eccentrica, appartata e isolata del panorama letterario italiano del Novecento. Autore di un solo romanzo, ma di alcuni tra i più significativi racconti della nostra letteratura, rimase a lungo poco conosciuto anche a causa della scomparsa prematura, avvenuta prima della pubblicazione del suo capolavoro, il racconto lungo Casa d’altri. Protagonisti di questo “racconto perfetto” ambientato in un luogo desolato sull’Appennino emiliano, sono Zelinda, donna anziana e sola che si procura di che vivere lavorando come lavandaia, e il prete del villaggio. Ogni mattina Zelinda lascia la propria casa con un carico di panni sporchi per fare poi ritorno a sera, con il bucato lavato e qualche capra che la scorta sul cammino. Un’esistenza dura, monotona, ma apparentemente serena. Fino a quando la donna si presenta davanti al sacerdote e, vincendo l’imbarazzo e la timidezza, chiede se, in particolari condizioni, il magistero ecclesiastico consenta una deroga alle proprie regole e ai propri comandamenti. Una domanda inaspettata da una povera donna ignorante, che spiazza Doctor Ironicus – come era chiamato il prete quando ancora era studente di seminario – e non gli permette, in barba al proprio soprannome, di fare altro che balbettare una risposta banale e superficiale. Di quale deroga sta parlando la donna? Qual è il pensiero che l’assilla? Costruito su una struttura austera e scarna, il racconto di Silvio D’Arzo offre al lettore un vero giallo dell’anima, ancora più sconvolgente proprio per il suo minimalismo.