Dell'invecchiare, dell'essere fragili, inadeguati, perfino del morire parliamo ormai di nascosto. Ai bambini è negata l'esperienza della fine. La caducità, la sofferenza, la sconfitta sono fonte di frustrazione e di vergogna. L'estetica dell'eterna giovinezza costringe molte donne nella prigione del corpo perfetto e le inchioda dentro un presente mortifero, incapace di darci consolazione, perfino felicità.
In questa intensa, sorprendentemente gioiosa inchiesta narrativa, Concita De Gregorio ci chiede di seguirla proprio in questi luoghi rimossi dal discorso contemporaneo. Funerali e malattie, insuccessi e sconfitte, se osservati e vissuti con dignità e condivisione, diventano occasioni imperdibili di crescita, di allegria, di pienezza. Perché se non c'è peggior angoscia della solitudine e del silenzio, non c'è miglior sollievo che attraversare il dolore e trasformarlo in forza.
«Penso a Stefania Sandrelli morente che, ne La prima cosa bella, chiede a suo figlio quarantenne se ha bisogno di mutande, calzini. Poi sospira: "Però ci siamo tanto divertiti".
È una fatica, raccontarsela tutta, ma una grande soddisfazione, un sollievo e una cura.
Un'avventura magnifica. Ci siamo tanto divertiti, si dice sempre alla fine».
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«Per raccontare la vita com'è, bisogna cominciare dalla fine, dalla morte, così difficile da affrontare e da spiegare ai bambini(...) "Dare un nome a quello che non si può dire, entrare con un salto nel regno segreto e farlo in compagnia, addirittura"(...)»
Annalena Benini, «Io Donna»