Nell’immaginario comune, oggi disputato da una parte della critica storiografica, Federico II di Svevia fu un imperatore diverso da tutti: colto, brillante, indocile, volle trasformare il Regno di Sicilia in una monarchia illuminata, fondata sull’uguaglianza di tutti i sudditi e sulla tolleranza religiosa, anche se fortemente accentrata nelle sue mani. Lavorò per fare dell’isola il fulcro di sviluppo e di irradiazione culturale delle civiltà di Occidente e Oriente, e il baricentro geopolitico del Mediterraneo; preferì fronteggiare il mondo islamico con la diplomazia anziché con le armi. Fu in perenne conflitto con i pontefici, da cui intendeva emancipare l’Impero. Il Papato vide in lui una minaccia alla propria esistenza, con la “cancellazione” dei suoi territori e la riunificazione dell’Italia meridionale ai regni del Settentrione. Ma ciò non avvenne e con lui si spense l’ultima possibilità di un dominio che si estendesse dal Mare del Nord alla Sicilia.