L'omicidio immotivato di Carlo Arca fa da sfondo a questo romanzo. Suo fratello Stefano, giovane di maschia bellezza, è afflitto da un'infelicità che lo porta a essere insofferente verso tutto e tutti. Durante una delle sue crisi viene confortato da Maria Arthabella, vedova del fratello e sposa osteggiata per motivi di censo, dalla quale presto si sentirà attratto e che, dopo il matrimonio, porterà nella casa di famiglia. Ma il fantasma di Carlo aleggia in tutto il romanzo, dalla memoria agli animi dei personaggi, sino alla conclusione.
Maria Grazia Cosima Deledda è nata a Nuoro, penultima di sei figli, in una famiglia benestante, il 27 settembre 1871. E’ stata la seconda donna a vincere il Premio Nobel per la letteratura, nel 1926. Morirà a Roma, all'età di 64 anni, il 15 agosto 1936.
La narrativa della Deledda si basa su forti vicende d'amore, di dolore e di morte sulle quali aleggia il senso del peccato, della colpa, e la coscienza di una inevitabile fatalità. È stata ipotizzata una somiglianza con il verismo di Giovanni Verga ma, a volte, anche con il decadentismo di Gabriele D'Annunzio, oltre alla scrittura di Lev Nikolaevic Tolstoj e di Honoré de Balzac di cui tra l'altro la Deledda tradusse in italiano l'Eugenia Grandet. Tuttavia la Deledda esprime una scrittura personale che affonda le sue radici nella conoscenza della cultura e della tradizione sarda, in particolare della Barbagia.