In Italia la criminalità fattura 140 miliardi di euro all'anno. Il sommerso vale il 15 per cento del Pil. La ricchezza del Paese è anche questa. La mafia è un fenomeno «glocal» che ha condizionato lo sviluppo del capitalismo italiano.
Ragioni storiche, culturali ed economiche hanno contribuito a fare dell'Italia il Paese delle mafie: il mancato sviluppo di una cultura imprenditoriale, la «famiglia» come base di tutte le relazioni sociali, la fragile democrazia, il silenzio della Chiesa.
Le radici dell'illegalità sono profonde ma nuove tecnologie e crisi economica stanno rivoluzionando gli schemi tradizionali della criminalità organizzata. Per l'Italia la sfida è enorme: la mafia continuerà a dominare il processo di globalizzazione o, al contrario, è proprio nei cambiamenti del mondo contemporaneo che si nasconde l'antidoto per sconfiggerla?
Un libro che descrive nel dettaglio i meccanismi, le connivenze, i danni e le convenienze di un Paese in cui si è sviluppata una forma di capitalismo unica al mondo.
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«Oggi si è ormai consolidato un connubio tra mafia, potere economico-finanziario e potere politico. Attraverso imprenditori e professionisti la mafia colloquia con le istituzioni».
Pietro Grasso
«Siamo l'unico Paese occidentale che ha quattro mafie. Anche se l'Italia ha la legislazione antimafia piú avanzata al mondo, non potrà mai essere proporzionata alla potenza delle organizzazioni criminali».
Nicola Gratteri
«La responsabilità del dominio della mafia è anche della borghesia meridionale, che ha sempre concepito l'imprenditoria come un'attività di rapina».
Ivan Lo Bello
«È difficile sentire odore di mafia, ci sono troppi insospettabili, troppi colletti bianchi coinvolti. Il mio rimprovero alla Chiesa è di essere arrivata tardi nella comprensione del fenomeno mafioso».
Domenico Mogavero
«Oggi il crimine è globale. La perdita di efficacia delle democrazie è un problema enorme che si intensificherà nei prossimi anni attraverso insicurezza e corruzione».
Moisés Naím