È giunto il momento di capovolgere la prospettiva. È tempo di considerare l'ondata migratoria come avamposto di un mondo in accordo col quale la (ancora) ricca Europa potrebbe dar vita a una struttura federale euro-africana gravitante sul Mediterraneo, effettivamente paritaria e, in prospettiva, sempre più integrata. Se l'intera 'Unione' si facesse protagonista di una svolta del genere potrebbe nascere una feconda interazione tra quel grande capitale umano e il capitale di conoscenze e risorse del vecchio continente. Questo libro è stato scritto mentre imperversava la disumana 'chiusura dei porti' imposta dal governo italiano allora in carica a danno di profughi in fuga dall'inferno libico. Quella pagina vergognosa della nostra storia recente, che ha macchiato l'onore del nostro Paese, è stata anche rivelatrice di un male antico e sempre latente: il lauto consenso che premia la demagogia xenofoba. Drammatica conferma di quello che Umberto Eco definì efficacemente il «fascismo eterno». La xenofobia sovranista ha fatto credere che la soluzione alle ondate migratorie sia «alzare il ponte levatoio». Ma la storia ci insegna che la vicenda degli spostamenti di masse umane coincide con la storia stessa del genere umano. È puerile volervi porre un freno 'a mano armata'. Gli stessi Stati europei che ora indossano l'elmetto per chiudere le porte e i porti traggono origine da migrazioni di popoli che investirono – in un processo storico durato secoli – la struttura statale all'epoca considerata la più forte: quella dell'impero romano. Il Mediterraneo – oggi cimitero a cielo aperto –, che l'imperialismo europeo per lungo tempo ha diviso in colonizzati e colonizzatori, era stato molto prima, e per un tempo non breve, un'area politico-culturale unitaria. Può tornare a esserlo se sapremo ripensare radicalmente la troppo augusta, arroccata e qua e là incrinata, 'unione' europea.