Il mito di Adone sembra risolversi tutto in una storia di amore assoluto - l’amore che lega il giovane pastore-cacciatore alla dea stessa dell’amore in una relazione di felicità senza ombre. Quando la morte improvvisa del ragazzo, per un futile incidente di caccia, pone fine all’idillio, la vicenda diviene leggibile - e verrà letta - come archetipo illustre del binomio amore/morte. Il contrasto vertiginoso tra felicità indicibile e strazio senza rimedio addita dunque nella precarietà della gioia la cifra simbolica di questo mito - e si ritrova inscritta nella scansione delle festività per Adone, che in tutto il Mediterraneo antico giustapponevano la celebrazione dell’eros al lamento funebre. L’aspetto rituale, così importante per Teocrito e Bione (e oggetto poi di prezioso recupero in Yeats), è già sullo sfondo in Ovidio, che consegna alla tradizione successiva (Ronsard, La Fontaine) una grande storia d’amore travolgente e infelice tra la dea della bellezza e il più bello dei mortali. La linearità della vicenda ne occulta peraltro la pregnanza filosofica, che la tradizione si fa carico di esplicitare: se per Shakespeare Adone, per la prima volta insensibile alle attenzioni di Venere, incarna un principio di amore intellettuale opposto a quello che muove la dea della natura, Shelley valorizza gli impliciti neoplatonici del mito per fare di Adonais un simbolo della poesia come unico fondamento possibile di verità, memoria e comunione affettiva.