François Menant traccia un quadro completo delle vicende politiche, economiche e culturali di un periodo cruciale per la formazione dell’Italia moderna, quello compreso tra il 1100 e il 1350. In quei secoli l’Italia centro-settentrionale fu teatro di un’esperienza unica nel contesto dell’Europa del tempo: lo sviluppo delle città comunali. La singolarità del fenomeno deriva in primo luogo da un eccezionale sviluppo urbano: circa sessanta città avevano una popolazione compresa tra i 10.000 e gli 80.000 abitanti e tre raggiunsero il record dei 100.000 abitanti. Nelle città italiane si concentrava una notevole parte delle ricchezze dell’Europa e del bacino mediterraneo, grazie alla fitta rete commerciale e bancaria che gli italiani seppero intrecciare. I profitti venivano investiti, e non solo nella terra e nelle case, ma anche nell’arte: i palazzi comunali, le chiese degli ordini mendicanti, gli affreschi di Giotto e Ambrogio Lorenzetti sono il preludio del Rinascimento. In questo quadro i sistemi politici cittadini raggiungono la loro pienezza istituzionale, fondata sull’indipendenza da ogni altro potere, sul rinnovamento dell’arte oratoria e del diritto e sulla sperimentazione di nuove tecniche di amministrazione, dalla contabilità pubblica alla regolare archiviazione dei documenti. In queste città lo sviluppo culturale e quello politico-istituzionale procedono dunque in parallelo, in un contesto spesso lacerato dai conflitti, ma anche aperto e dinamico: quello di una società in sommovimento che nel corso di questi secoli cambia profondamente e nella quale l’esperienza comunale lascia un segno profondo, ancora ben visibile.