Moka scrive, usando le parole per comprendere sé stessa e il mondo, lavorando con coraggio a partire dalle sue debolezze, dalle sue ferite.Le fotografie rivelano paesaggi grandiosi o dettagli minuti: a volte c’è la fatica di una salita impervia, della roccia, a volte la promessa delle bolle di sapone o l’incanto di uno spiraglio di cielo fra le case. La poesia si fa allora visionaria e indagatrice. L’io poetico registra un istante di silenzio, come una sospensione dai gesti della quotidianità. Ma poi la fine si rivela l’inizio: sono di nuovo alla ricerca della mia vita, / ne sento la presenza, la carezza e la stretta.Con la sua corteccia che appare segnata dalle sconfitte e dalle rinascite, Moka visita in questa raccolta i suoi fantasmi, accenna al fuoco matto delle sue perversioni: l’amore, la poesia e i motori. La poesia risulta il vero legame fra le diverse esperienze di vita e le varie manifestazioni dell’essere. È in fondo un gesto di resistenza, uno scoprirsi vera, ridicola, timida / bandita e ribelle senza vergognarsene. A volte, la poesia diviene un puro gesto di ascolto; e come capita spesso, la cosa più difficile da ascoltare è il silenzio.Il titolo dell’ultima lirica espande ulteriormente il mistero. Le parole parlano di un incontro, di una soluzione positiva. E sopra, come un promemoria, quella fila di cifre: 85140938780263. Un numero di telefono? Un codice? Meglio non saperlo: le poesie amano conservare qualche segreto.