La notte in cui morirono gli autobus è una raccolta di ventiquattro brevi e brevissimi racconti. Come nelle altre raccolte di racconti di Keret, anche qui l’assurdo la gioca da padrone, con trame in cui non è mai chiaro chi sia la vittima e chi il carnefice, con finali aperti a molteplici considerazioni, anche di tipo morale. Molti di questi racconti sono ambientati a scuola o hanno per protagonisti i bambini, quasi mai in grado di decifrare il mondo in cui vivono. Paradossale e astratta, amara, ironica ma anche velata di melanconia, la scrittura di Keret è una voce vera che sorvola, illuminandola di senso, la realtà quotidiana di un paese, Israele, costretto a convivere quotidianamente con una guerra sorda e strisciante. I protagonisti dei suoi racconti infatti nascono lì. Gomito a gomito con una realtà surreale fatta di attentati, di missili che piovono, continui muri che si erigono improvvisi. Emblematico del tono surreale dell’intera raccolta il breve racconto Salomone il ricchione: “La supplente disse ai ragazzi di mettersi in fila per due. Salomone il ricchione rimase solo. ‘Sto io con te,’ lo consolò la supplente dandogli la mano. Arrivati a un chiosco di gelati tutti i bambini comprarono dei ghiaccioli. Salomone il ricchione mangiò un Twister e quando l’ebbe finito ficcò il bastoncino in un’intercapedine del selciato, fantasticando che fosse un razzo. Gli altri correvano sul prato e solo lui e la supplente, che nel frattempo si era accesa una sigaretta e aveva un’aria piuttosto stanca, erano rimasti sul sentiero. ‘Signora maestra, perché tutti i bambini mi odiano?’ domandò Salomone il ricchione. ‘E che ne so io?’ rispose l’insegnante stringendosi nelle spalle, ‘dopo tutto sono solo una supplente’”.