Viviamo nel migliore dei mondi possibili, in cui tutto ciò che succede (anche le disgrazie, più irreparabili) si inserisce in un meccanismo prestabilito di "causa-effetto" volto al raggiungimento della felicità; o ci troviamo nel peggiore dei mondi possibili in cui dominano sofferenza, crudeltà, sopraffazione? Queste due concezioni esistenziali opposte, determinano le dinamiche attraverso cui si sviluppa il romanzo e le avventure vissute dal protagonista, Candido. Il suo è quello che in letteratura viene definito un "nome parlante" (ossia rispecchia le caratteristiche del personaggio): egli è, infatti, candido di nome e di fatto ed affronta con ingenuità, stupore e gentilezza le peripezie, gli incontri e gli avvenimenti che gli si presentano sulla strada; dai più atroci ai più lieti. Nonostante si tratti di un romanzo filosofico incentrato su temi di riflessione, la sua lettura risulta "semplice" e divertente, grazie alla dinamicità con cui si succedono gli avvenimenti descritti e per merito della grande ironia con cui è stato scritto. Infatti si presenta come una paradossale presa in giro delle dottrine più ottimistiche del tempo, in particolar modo di quella leibniziana, qui incarnata dallo stravagante precettore del protagonista; il filosofo Pangloss: un personaggio retorico che, attraverso una serie di ragionamenti ampollosi, pretende di dimostrare che tutto va sempre bene anche quando sembra andare male e che ogni causa - per quanto nefasta - produce un effetto che, alla lunga, risulta positivo. Pur ponendosi in aperta polemica con queste teorie sterilmente ottimistiche, Voltaire non esalta il pessimismo ed ogni disgrazia, persino quella più cruda, è descritta con leggerezza e, comunque, è sempre seguita da un evento positivo. La stessa conclusione del racconto può essere considerata come un finale aperto, affidato ad una riflessione ambivalente del protagonista che il lettore è libero di cogliere scegliendo la propria chiave interpretativa del testo e, in fondo, della vita stessa.