«Le banche, che nella loro architettura somigliano a templi o chiese, sono le custodi di una divinità visibile – il denaro – e celebrano l’insolita religiosità del capitalismo. Ciò rende evidenti le profonde radici teologiche e religiose del nostro rapporto con i soldi, i debiti e le tasse in un mondo in cui la monetizzazione ha ormai raggiunto ogni campo della vita».Un romanzo popolare tedesco dei primi del Cinquecento narra la storia di un uomo dotato di una borsa magica che si riempie continuamente di denaro nella valuta del paese in cui si trova. In questa prefigurazione fantastica dell’Euro, egli non deve preoccuparsi della provenienza dei soldi; se lo facesse rientrerebbe nella schiera dei perdenti e dovrebbe lavorare. Eppure, troppa fortuna gli arrecherà solo infelicità e alla fine prenderà la decisione di ritirarsi in un convento.Sempre nei primi decenni del Cinquecento, l’umanista spagnolo Juan Luis Vives compone a Bruges il primo trattato europeo sulla politica sociale, in cui espone l’idea che le istituzioni, e non solo le strutture assistenziali della Chiesa, debbano occuparsi dei poveri.Alla moltiplicazione miracolosa del denaro da spendere (metafora del capitalismo) e alla ridefinizione dei compiti dello Stato con le argomentazioni dell’amore cristiano verso il prossimo (metafora dello Stato sociale) si aggiungerà un terzo elemento: la «generosità obbligatoria» dei cittadini disposta dallo Stato moderno attraverso l’ampliamento dell’obbligo fiscale generale.