Nathalie A. Cabrol ha dedicato la propria esistenza allo studio di possibili forme di vita al di fuori del nostro pianeta. Dalle vette delle Ande, dove gli organismi resistono a condizioni estreme, fino agli oceani nascosti su altri corpi celesti, il suo viaggio autobiografico nella galassia è un racconto dell’età dell’oro dell’astrobiologia, la nostra: nel 1992 si osservavano i primi due esopianeti, oggi ne contiamo 5200. Per Cabrol non siamo mai stati così vicini a rispondere alla domanda “siamo soli nell’universo?”: ogni giorno scopriamo nuove possibilità di vita extraterrestre, e del resto, come diceva il suo maestro Carl Sagan, il contrario sarebbe «un terribile spreco di spazio». È sorprendente essere «allo stesso tempo l’esperimento e lo sperimentatore, la vita che si interroga sulla sua origine», ma è ricordando la propria essenza biologica che l’umanità può tornare a vedere l’ambiente che la ospita. L’alba di nuovi orizzonti è un esercizio a guardarsi da fuori, come gli astronauti che contemplano la Terra dallo spazio, «affinché la nostra epoca sia ricordata come quella in cui gli esseri umani divennero finalmente dei cittadini planetari».