«Gli scrittori sono tutti morti e tutta la scrittura è postuma». Nessun altro, eccetto Burroughs, avrebbe osato proclamarlo, ed è soltanto una delle affermazioni paradossali e dissacranti che costellano i saggi qui raccolti, estratti dallo sciame meteorico che, durante una mitica stagione, investì le pagine delle riviste internazionali, letterarie e non. Burroughs porta il lettore oltre i cordoni della polizia militare fino al cancello di aree classificate «top secret», e gli fa intravedere cose insospettate, di bruciante attualità, quali il controllo della mente – con ogni mezzo legale o illegale – da parte di politici, scienziati, giornalisti, medici, santoni e altri spacciatori, la parola come virus, la scrittura come tecnica e magia, all’occorrenza nera. Con il suo humour vitreo composto in egual misura di lucidità e follia, rude buonsenso e visionarietà, e oltraggi a ripetizione, ci porge scampoli fulgenti di «atroce presunzione». Insegna la lettura creativa. Libera la mente dalla sudditanza e dall’assuefazione a ogni conformismo. Condisce invettive, dissezioni e profezie con raccontini ad hoc, sconci e spassosi. E intanto disegna una singolare, illuminante galleria di autori letti, incontrati, amati, detestati: da Kerouac a Beckett, da Graham Greene a Conrad, da Fitzgerald a Hemingway, da Maugham a Proust. Leggerlo è fare un corso accelerato di disintossicazione dall’acquiescenza agli zelanti manipolatori del Potere. Burroughs ha scritto la sceneggiatura del film che chiamiamo realtà. Peccato sia la nostra.