Questa è una raccolta di saggi che esplora il rapporto spirituale, emotivo e biologico fra l’uomo e i colori, il modo in cui questi hanno plasmato l’umanità e come è cambiato il nostro impatto sul pianeta mentre questo legame si logorava nel tempo. Dalle piscine della California al deserto del Mojave, dai canyon dello Utah alle coste dello Yucatan fino a immergersi nelle limpide acque che circondano le Bahamas, Ellen Meloy, scrittrice naturalista – che con questo libro è stata finalista al Premio Pulitzer nel 2003, un anno prima di venire a mancare – ci accompagna in un viaggio attraverso territori di straziante bellezza e vulnerabilità, generando nel lettore un rinnovato impulso a prendersene cura. Meloy fa della nostra capacità di percepire i colori – specialmente il turchese, colore ambiguo, sfuggente, a metà strada fra il verde e l’azzurro – un’esperienza squisitamente sensoriale. L’unica vera mappa cui vale la pena di affidarci per conoscere questo mondo in perpetuo cambiamento, osserva, è quella che i nostri sensi sono in grado di tracciare. Se invece di sfruttarla, ci limitassimo a godere della natura, se ci abbandonassimo alla sua seduzione, potremo tornare a sentirci vivi e parte di qualcosa di più grande. In questo intimo percorso la solitudine è fondamentale per contemplare ciò che davvero conta, e mai come ora queste parole risuonano di verità. La domanda fondamentale che questo libro pone è: vogliamo vivere sulla Terra a mo’ di ciechi parassiti o contribuire alla sua sopravvivenza come l’istinto ci suggerisce da sempre di fare?