Abelito è un ragazzino colombiano come tanti. Vive con la sua amorevole famiglia in un villaggio sperduto nella giungla. Un giorno quel piccolo mondo finisce stritolato nelle lotte tra guerrilleros, paras e narcos che insanguinano tutto il paese. E lui, improvvisamente adulto, da vittima diventa carnefice. Una guerra infinita, quella colombiana. Per riportare l'ordine, l'esercito locale conta su un potente alleato: gli Stati Uniti. Ma sarà davvero una «buona guerra»? Lisette, una giornalista reduce dall'Afghanistan, e Mason, un sottufficiale di collegamento delle Special Forces, vogliono credere che sia cosí. «Gettando uno sguardo lungo sulla "razionale follia" della guerra globale, La buona guerra colma magistralmente una delle piú grandi lacune della letteratura contemporanea». «The Wall Street Journal»
Ci sono una gallina gringa e un maiale colombiano. La prima propone al secondo di entrare in affari e vendere sand-wich: basta che ciascuno fornisca la metà degli ingredienti. «Io metterò le uova», dice la gallina gringa. «E io?», chiede il maiale colombiano. «Tu, mio caro, metterai il bacon». Gira questa storiella negli ambienti intellettuali di sinistra della Colombia. A Juan Pablo, che lavora nell'esercito come un tempo suo padre, non fa ridere. Perché sa che c'è qualcosa di vero. La realtà, però, è complessa, e quella del suo tormentato paese ancora di piú. Per lui, chi vive in mezzo alla violenza vuole una cosa sola: ordine. Lisette, una giornalista americana cresciuta tra le dolci colline della Pennsylvania e appena rientrata esausta dall'Afghanistan, vuole invece una «buona guerra» e va a cercarla proprio in Colombia. In Colombia è andato anche Mason, sottufficiale di collegamento delle Special Forces che ha cominciato la carriera militare in Iraq e che, dopo essere diventato padre, ha capito di averne abbastanza di carri armati e ordigni esplosivi. Abel, che in Colombia è nato, al contrario non ha avuto scelta. E nemmeno la sua famiglia, finita nel tritacarne delle lotte tra guerrilleros, paras e narcos che seminano sangue e terrore in ogni angolo della giungla. Dopo Fine missione, raccolta di racconti frutto dell'esperienza come marine in Iraq, Phil Klay torna a parlare di guerra, ma stavolta allarga l'inquadratura includendo anche Afghanistan, Colombia e Yemen. È una scelta letteraria, ma la globalizzazione bellica non è fiction: le forze all'opera da una parte trafficano intanto anche da un'altra; i soldati e i mercenari un giorno utili qua il giorno dopo servono là; e ogni bomba che cade ha dietro una sofisticatissima tecnologia messa a punto in lindi laboratori sparsi per mezzo mondo. Connessi in una macchina mostruosa, i personaggi di Klay, nel silenzio che segue scoppi e fanfare, si ritrovano soli di fronte al tribunale della loro coscienza.