Il contratto preparato nell’estate del 1937 da Faber and Faber e da Random House riguardava un generico «libro di viaggio sull’Estremo Oriente» e lasciava alla discrezione di Auden e Isherwood la scelta dell’itinerario e il taglio del resoconto. Ma è certo che la decisione, da parte della strana coppia di reporter, di partire per la Cina – allora in guerra col Giappone – non fu delle più ovvie. Di fatto, per quanto in quegli anni l’intelligencija europea frequentasse con una certa assiduità trincee e teatri d’operazioni, nessuno aveva rivolto lo sguardo a quello che – nonostante le dimensioni, la ferocia e le implicazioni che avrebbe avuto per la storia non solo regionale – era un conflitto quasi dimenticato. Che Auden e Isherwood ci fanno invece rivivere nel momento stesso in cui accade, con un’immediatezza, una precisione e un’efficacia tanto più sbalorditive se si considera che del Paese in cui soggiornarono dal gennaio al luglio del 1938 i due, per loro stessa ammissione, sapevano molto poco, e soprattutto che la forma da loro adottata – un ibrido di prosa, versi e fotografie – era, ed è rimasta, un unicum.