«Con la più grande soddisfazione del Nostro paterno cuore abbiamo finalmente riconosciuto che la mitigazione delle pene congiunta con la più esatta vigilanza [.] invece di accrescere il numero dei Delitti ha considerabilmente diminuiti i più comuni, e resi quasi inauditi gli atroci, e quindi Siamo venuti nella determinazione di non più lungamente differire la riforma della Legislazione Criminale, con la quale abolita per massima costante la pena di Morte [.], eliminato affatto l'uso della Tortura [.] e fissando le pene proporzionate ai Delitti, [.]»: ci sono documenti che parlano da soli. Uno di questi è l'editto del novembre 1786 con cui l'illuminato Pietro Leopoldo (Granduca di Toscana dal 1765 al 1790, quando succede al fratello Giuseppe II alla guida dell'Impero) promulga il nuovo Codice criminale, poi detto toscano o leopoldino, abolendo, per la prima volta nella storia degli Stati moderni, la pena di morte, la tortura, il delitto di lesa maestà e la confisca dei beni del condannato. Degli strumenti di tortura e di esecuzione capitale non doveva neanche rimanere traccia: non se ne salvò uno dal rogo acceso nel cortile del Bargello. La riforma criminale di Pietro Leopoldo si colloca nel contesto di un progetto di riforma più ampia dello Stato e della società civile, che si ispira a Beccaria, ai fisiocratici e a Filangieri, ma anche agli echi della Rivoluzione americana, e si propone come un'originale evoluzione dall'assolutismo illuminato al costituzionalismo.