Esiste un antico gioco, in Giappone, chiamato hyakumonogatari, “Centoracconti”: alcune persone si riuniscono in un luogo, di notte, e accendono cento lumini. Poi cominciano a raccontare, a turno, storie di fantasmi, spegnendo un lumino al termine di ogni racconto. Storia dopo storia, candela dopo candela, la stanza diventa sempre più buia: terminato l’ultimo racconto, spento l’ultimo lumino, quando le tenebre saranno complete, un fantasma si manifesterà. Banana Yoshimoto muove da questa affascinante suggestione per dar vita a uno dei suoi romanzi più celebri e amati, al centro del quale si trova una misteriosa raccolta di racconti, intitolata N.P. Composta in inglese da Sarao Takase, scrittore giapponese a lungo vissuto in America, la raccolta prevedeva originariamente cento storie. Ma all’indomani del suicidio dell’autore l’edizione pubblicata in inglese ne conta solo novantasette. Che fine hanno fatto i tre racconti mancanti? È ciò che intende scoprire Kazami, convinta che le ragioni della morte del fidanzato Shōji siano celate tra le pagine degli ultimi racconti. Come spiegare altrimenti il fatto che Shōji si sia tolto la vita – come l’autore, come altri traduttori – proprio mentre lavorava alla versione giapponese dell’inedito e fin lì introvabile racconto numero 98? Nel corso della sua indagine, che la porterà a vagare a lungo per le strade di Tokyo, Kazami avrà modo di rintracciare anche il racconto 99 e di avvicinarsi, passo dopo passo, alla soluzione dell’enigma. Che – come il fantasma dello hyakumonogatari – si manifesterà solo alla fine del percorso, quando anche il centesimo racconto sarà stato narrato.