Pochi secoli fa Marte era solo un minuscolo punto di luce sopra le nostre teste, poco più di un'idea; negli ultimi cinquant'anni gli uomini ne hanno setacciato la superficie e il sottosuolo attraverso telescopi, sonde, satelliti, lander e rover spaziali, una corsa all'esplorazione senza precedenti.
Perché proprio Marte? Perché un pianeta dove non piove da due miliardi di anni, dove non esistono fiumi, laghi e oceani, la cui superficie desertica è rotta da spaccature profonde come abissi, ricoperta da una sabbia finissima che si solleva in vasti mulinelli nella sottile atmosfera color bronzo?
In un tempo che non appartiene alla memoria dell'uomo Marte somigliava molto di più alla Terra, poi, tra i tre miliardi e mezzo e quattro miliardi di anni fa, i loro destini hanno imboccato strade diverse. È forse questa la chiave dell'attrazione che il pianeta rosso ha esercitato sulle menti e le fantasie degli uomini.
La storia di Marte e delle sue esplorazioni - scrive Sarah Stewart Johnson, giovane e talentuosa planetologa dell'Università di Georgetown - è strettamente legata a quella della Terra: trovare risposte agli enigmi che si annidano nel suo passato significa gettare uno sguardo sul futuro del nostro pianeta. «Marte è stato il nostro specchio, un riflesso rivelatore di ciò che albergava nel profondo dei nostri cuori, vi abbiamo visto un'utopia, un territorio inesplorato, un santuario, un oracolo.»