L'avvento della pandemia da Coronavirus rappresenta per l'umanità una sfida duplice: da un lato vivere sapendo che è necessario riequilibrare la nostra presenza e il nostro impatto sulla Terra, dall'altro riflettere su come fattori economici e sociali, oltre a quelli biologici, abbiano influito sulla diffusione globale della malattia. Secondo i virologi, la maggior parte delle nuove malattie infettive – circa il 60% – ha origine in un salto di specie di virus o batteri che passano dal corpo di un animale selvatico a quello di un essere umano. Questo processo ha a che fare con la distruzione dell’habitat della fauna selvatica causata dall'illimitata espansione del sistema capitalistico che porta con sé disboscamento, attività estrattive indiscriminate e devastazione degli equilibri ecologici. Tutto ciò induce infatti una prossimità forzata tra fauna selvatica e popolazioni umane la quale, in alcuni paesi, causa anche un incremento del commercio per scopi alimentari di animali selvatici e rari. Alla "Grande Accelerazione", il nome dato dai teorici dell'Antropocene all'impennata tecnico-economica iniziata nel secondo dopoguerra, dovrebbe ora seguire un nuovo slancio critico nei confronti del capitalismo e dei suoi rischi ’terminali' evidenziati dalla pandemia, andando oltre i dualismi caratteristici del secolo scorso per affiancare alla critica sociale una critica ambientale, nel tentativo di dare una risposta più concreta possibile alla domanda "cosa dovrebbero fare gli umani?”.