Osservare il linguaggio sgretolarsi in un’opera di Magritte. Scoprire la medesima, disperata assenza in un volto urlante di Bacon e in un animale antropomorfo di Walt Disney. Guardare il sangue nero e denso in una foto di guerra di Don McCullin. Scrutare l’abisso che si apre negli occhi di un elefante rinchiuso dietro le sbarre di uno zoo. Rivedere, a distanza di dieci anni, la pala d’altare di Grünewald a Colmar, e riconoscere la propria epoca tra le sfumature di una luce antica, dipinta cinque secoli prima. Sul guardare è un libro di immagini che interrogano la scrittura. Ma è tutta l’opera di John Berger a confermare questo vincolo indissolubile tra visione e linguaggio: dal guardare si irradia l’enigma del senso, si innesca il racconto come tentativo di fissare la propria esistenza nel tempo, che può assumere la forma di romanzo o critica d’arte, poesia o intervento politico. Come si legge in Questione di sguardi, «Il vedere viene prima delle parole. Il bambino guarda e riconosce prima di essere in grado di parlare». Attraversando il pensiero di Walter Benjamin e Susan Sontag, John Berger mette in luce come la fotografia abbia trasformato la memoria in spettacolo; analizzando la Tempesta di neve di Turner, si trova avvolto dalla violenza della natura come in un maelstrom; osservando una foto di Cartier-Bresson che ritrae Giacometti mentre cammina sotto la pioggia, riconosce la stessa solitudine che anima tutte le sue sculture. Sul guardare – che il Saggiatore propone in una nuova traduzione di Maria Nadotti – è molto più di una raccolta di saggi critici: è un testo organico in cui ogni immagine è un evento inatteso e perturbante, ogni incontro con l’opera d’arte un’esperienza reale o, per usare le parole di John Berger, un «momento vissuto» che diviene scrittura.