Fra i massimi scrittori di questo secolo Karl Kraus è finora il meno noto, fuori dai paesi germanici, soprattutto per l’enorme difficoltà che pone la lingua di ogni sua opera. Il volume che qui si presenta contiene in traduzione, per la prima volta al mondo, un’ampia scelta da suoi testi fondamentali. Kraus nacque a Jicin, in Boemia, nel 1874, e fin dalla prima infanzia visse a Vienna, dove morì nel 1936. Dopo un brillante inizio come critico ebbe l’offerta di scrivere feuilletons, noi diremmo elzeviri, per la «Neue Freie Presse», il grande quotidiano liberale di Vienna. Rifiutò l’offerta e stabilì una cesura definitiva fra sé e la società fondando subito dopo, nel 1899, una rivista, «Die Fackel», che è un unicum sotto tutti gli aspetti. Per trentasette anni, all’inizio con pochi collaboratori, e dal 1911 in poi interamente da solo, Kraus pubblicò le più che trentamila pagine di questa rivista, dove comparve la maggior parte degli scritti che poi raccolse, ogni volta lievemente modificati, nei vari volumi delle sue opere. Sulla «Fackel» Kraus scriveva della più trascurabile notizia di cronaca come dei più gravi fatti del mondo, attaccava le grandi potenze della stampa – prima fra tutte la «Neue Freie Presse» che lo aveva corteggiato – e della politica, riconosceva la rovina incombente nella regolata vita dell’Impero absburgico, ridicolizzava false glorie letterarie, ‘recitava’ satire trascinanti sulle mostruosità quotidiane – e in particolare sullo scandaloso intervento della giustizia nella vita sessuale –, si opponeva a grandi talenti di cui coglieva l’influenza nefasta – come Reinhardt –, scopriva e difendeva grandi scrittori – come Trakl e la Lasker-Schüler –, affrontava i classici con analisi sconvolgenti – come quella distruttiva su Heine e quella esaltatrice su Nestroy –, osava dire in tempo di guerra cose che pochi altri hanno osato e che nessun altro ha saputo dire come lui, svergognava capi di polizia responsabili di assassinio e finanzieri criminali, componeva poesie seguendo intatti canoni classici e una pièce di quasi ottocento pagine, "Gli ultimi giorni dell’umanità", che rivela una concezione formale di grande audacia – e Brecht se ne è servito non poco –, trattava con orecchio infallibile ogni questione di lingua, citava con arte tale da rendere superfluo il commento. Tutta questa disparata attività, di cui qui si sono dati solo gli esempi più ovvi, forma un’opera compatta: c’è come un "carattere Kraus" che riconosciamo in ogni sua riga – e ciò è dovuto anche alla sua esigenza fortissima, che ha anche un aspetto segretamente demoniaco, di assolutezza della persona e della parola. Fra i suoi scritti una delle zone più ricche è quella degli aforismi, pubblicati in tre raccolte fra il 1909 e il 1918, che qui si presentano in una larghissima scelta. Sono il più naturale accesso all’opera di Kraus, in quanto immettono subito nel cuore del suo pensiero e della sua arte del linguaggio – e perciò varranno anche a preparare il lettore italiano agli altri suoi scritti, la cui pubblicazione è prevista in un prossimo futuro.