«È come un pezzo di ghiaccio entro cui brucia una fiamma» scriveva Kandinsky in una lettera del 1925, alludendo alla sua pittura. Ma lo stesso si potrebbe dire del libro che egli avrebbe pubblicato pochi mesi dopo, "Punto, linea, superficie", testo capitale e rinnovatore per la teoria dell’arte e non solo per essa. Fra tutti i grandi pittori del ’900 Kandinsky è quello che forse più di ogni altro ha sentito l’esigenza di dare una formulazione teorica ai risultati delle proprie ricerche e di allargarne il significato toccando tutti i piani dell’esistenza. Già nel 1910, quando appena cominciava ad aprirsi la strada alla terra incognita dell’astratto, Kandinsky aveva scritto "Über das Geistige in der Kunst", altro testo di grande risonanza, proclama mistico più che saggio di estetica, appello a un rivolgimento radicale della vita oltre che al rinnovamento dell’arte. "Punto, linea, superficie" si presenta come un’opera più fredda e tecnica, ma in realtà è l’espressione più articolata, matura e sorprendente del pensiero di Kandinsky. Alla base del libro sono i corsi che Kandinsky teneva dal 1922 al Bauhaus. In essi egli mirava soprattutto a individuare la natura e le proprietà degli elementi fondamentali della forma, perciò innanzitutto del punto, della linea e della superficie. Con estremo radicalismo Kandinsky dichiarava allora di voler fondare una scienza dell’arte: nel corso ulteriore delle ricerche i problemi avrebbero dovuto esser risolti matematicamente, e su questa strada si sarebbe mossa tutta l’arte futura. Per questo suo assunto e per le scoperte che per la prima volta vi sono esposte, "Punto, linea, superficie" ebbe un’influenza determinante in diversi campi, basti pensare alla grafica. Ma ciò che oggi colpisce nel libro è innanzitutto l’abbozzo di una metafisica della forma, ben più che il progetto di una scienza esatta. Per Kandinsky la forma, in ogni sua specie – naturale e artificiale –, è manifestazione significante di una realtà, è tensione di forze, e solo in rapporto al suo sottofondo invisibile può essere compresa. È chiaro che, con ciò, viene abbandonato irrimediabilmente il recinto dell’estetica: si entra invece in un regno diverso, dove ogni forma diventa un essere vivente – e in questo regno Kandinsky ci introduce come un rabdomante, che rintraccia e traduce continuamente l’uno nell’altro, con la sua inquietante sensibilità eidetica, segni sonori, grafici, cromatici. Così, procedendo all’interno di questo trattato, al tempo stesso di pittura e di geometria «qualitativa», ci accorgiamo di partecipare a una grande avventura fantastica. Kandinsky ci insegna ad «ascoltare» la forma, come mai nessuno prima di lui, e il suo insegnamento ci mette in un nuovo rapporto con l’opera d’arte, ci apre una possibilità di esplorazione, che è, come scriveva egli stesso, «la possibilità di entrare nell’opera, diventare attivi in essa e vivere il suo pulsare con tutti i sensi».