Max Tivoli nasce nel 1871 a settant’anni, quindi sa che morirà nel 1941 – e ha sempre sotto gli occhi la fatidica scadenza, incisa su una catenella d’oro. Siamo di fronte a un personaggio quanto meno insolito, e indimenticabile – una volta tanto questi attributi vanno presi alla lettera –, come è indimenticabile la sua voce, che rapisce fin dalle prime parole di queste "Confessioni". Chi è, o meglio che cos’è Max Tivoli? Difficile dirlo, perché in realtà «non c’è nome per quello che è», per chi, come lui, viene al mondo «dalla fine della vita». Ma che razza di maledizione è diventare giovani, sempre più giovani, col passare del tempo? Scoprire, ad esempio, il sesso con il fisico di un cinquantatreenne e l’esperienza di un castissimo diciassettenne? Se si invecchia dentro e ringiovanisce fuori, la presunta simmetria della vita, l’ordine stesso delle cose risultano invertiti. E Max è destinato a quella cosa stupida, e stupenda, che è dissipare la vita per amore. Per ben tre volte e in tre modulazioni – paterna, romantica (intorno al 1906, per una breve stagione, l’età reale e quella apparente coincidono) e filiale – avrà modo di amare, sempre invano, la donna della sua vita, che non lo riconosce mai come persona né, poiché rincorre un altro sogno, riconosce in lui la persona da amare. Come ogni grande mostro della letteratura – da Dracula a Dorian Gray –, Max Tivoli rispecchia quel «mostro segreto» che è in noi. E le sue "Confessioni", ha scritto John Updike, «hanno il fulgore della poesia e il richiamo incantatorio del dolore».