«Con pochi, genialissimi tratti Giono evoca l’atmosfera del male che a poco a poco avvolge e penetra e si insinua nelle case: tutto non è più che delitto e ossessione del delitto.»
Pietro Citati
È il 1843. La sparizione improvvisa di due persone a distanza di tempo sconvolge la quiete di un paesino sperduto fra le montagne dell’Alto Delfinato. Il capitano Langlois, ex combattente e reduce della campagna d’Algeria, viene mandato a indagare. In breve tempo scopre i cadaveri degli scomparsi e si mette sulle tracce dell’assassino. Ma è qui che comincia il vero «giallo», il mistero che troverà soluzione soltanto nelle ultime righe del romanzo. Ed è qui che le parti si rovesciano, e oggetto dell’indagine diventa lo stesso Langlois: perché si ostina a ripetere che quell’uomo – l’assassino – non è un mostro? Come ha fatto, prima ancora di arrivare a incastrarlo, a comprenderlo così a fondo? In quella vicenda lontana, in quella storia di sangue che poteva sembrare destinata a offrire soltanto qualche ora di «distrazione» a dei comuni, normali lettori, c’è qualcosa che ci tocca, che ci coinvolge profondamente. È questo il punto, il senso dell’indagine: quanto è grande la distanza che separa l’essere normale dal mostro?