Un'estate torrida in una vecchia casa toscana. Fuori è l'agosto immobile, "incrinato soltanto dalle cicale impazzite". Dalle finestre si vedono le antiche torri, tremolanti nella calura. Qui Tristano vive la sua lunga agonia: una cancrena gli divora una gamba, i dolori sono lancinanti, la malattia si estende a tutto il corpo. Lo assiste la vecchia Frau, vecchia e dispettosa, la stessa Frau che, quando Tristano era bambino, gli raccontava fiabe e poesie in tedesco, affinché imparasse la lingua. In uno stato allucinatorio – la malattia, il dolore, la morfina – Tristano vecchio, incattivito, rabbioso, racconta di sé a uno scrittore, da lui appositamente convocato, un testimone della sua agonia, i ricordi di una vita, i conflitti che ancora la lacerano. Lo scrittore, uno scrittore di discreto successo, dovrà dar forma alla vita di Tristano, la vita di un eroe o quella di un traditore? Fantasmi di donne amate compaiono, scompaiono, si sovrappongono nel delirio: la Guagliona della Taddeo Zimmer, Rosamunda che seppellì il cane Vanda, l'americana Marilyn che lui chiamò Rosamunda… Phine la greca, Daphne, anzi Mavrì Elià, la donna dagli occhi come olive nere… E poi la guerra, poiché Tristano era un soldato dell'Italia fascista, mandato in Grecia a combattere. Un soldato che scelse la parte della libertà, della Resistenza. Un eroe? E alla fine della vita, "di anni lunghi, uguali, con bombe tutte uguali, sui treni, nelle piazze, nelle banche… di processi tutti uguali a imputati tutti uguali, nel senso che non c'erano, gli imputati…", alla fine della vita tutto appare come un grande incubo che circonda e sovrasta. Tristano lascia un disegno di sé: è il profilo che vorrebbe lasciare prima di andarsene.