Un uomo che creò il proprio destino da sé. Già da bambino uccise il fratellastro maggiore, fu catturato e ridotto in schiavitù da un clan rivale, ma riuscì a sfuggire ai suoi aguzzini. Da adulto smantellò il sistema feudale fondato sulla nascita e il privilegio aristocratici per sostituirlo con un sistema basato sul merito individuale. Ridusse le tasse a tutti, esentando dottori, insegnanti, sacerdoti e centri di istruzione. Stabilì censimenti cadenzati e diede vita al primo sistema postale internazionale. In un'epoca in cui la maggior parte dei sovrani si considerava al di sopra della legge, sostenne una concezione del diritto che costringeva tanto il sovrano quanto il più umile pastore a rispondere delle proprie azioni. Garantì la libertà religiosa nelle terre in suo dominio, pur pretendendo assoluta fedeltà dai popoli assoggettati. Difese lo Stato di diritto, abolì la tortura e creò un Impero che si estendeva dall'innevata tundra siberiana alle torride pianure dell'India, dalle risaie del Vietnam ai campi di grano dell'Ungheria, e dalla Corea fino ai Balcani. Alla sua nascita, nel 1162, nessuno in Cina aveva mai sentito parlare dell'Europa e nessun europeo conosceva la Cina. Nel 1227, anno in cui morì, grazie a lui si erano creati, tra queste due realtà, vincoli diplomatici e commerciali che rimangono saldi fino a oggi. Questo libro parla di Gengis Khan, spesso ritratto come lo stereotipo del barbaro, del selvaggio sanguinario e fautore della distruzione fine a se stessa, che è stato invece un personaggio che ha contribuito alla nascita del mondo moderno.